Stanco dei tatticismi esasperati che uccidono le giocate estemporanee e l’estro imprevedibile dei fantasisti, per firmare il suo primo album solista Michele Bitossi si presenta con un alias dal significato (almeno per lui) chiaro e inequivocabile. Si parla di “Mezzala” e il disco in questione è “Il problema di girarsi”, titolo scelto attingendo (non a caso) dal calderone di locuzioni coniate dal mitico Bruno Pizzul, emblema di un calcio ormai morto e certamente più genuino di quello attuale.
Fino alla metà degli anni ottanta Michele col football ci ha pure provato. Molto presto ha tuttavia dovuto fronteggiare una lampante e cruda realtà che lo vedeva sistematicamente relegato a scaldare le rozzissime panchine dei campi in terra battuta della periferia genovese. Papà Eugenio, nonostante non si risparmiasse quando c’era da saltare sulla centoventotto verde alla volta dell’impianto sportivo di turno con l’aria gelida che ti bestemmiava in faccia, per fortuna non ha mai creduto nelle doti di calciatore di Michele.
Lo accompagnava ma non sentiva di volerlo motivare, di essere complice nel costruire un’illusione che avrebbe significato soltanto frustrazione e perdite di tempo. Michele si accorse in tempo che il calcio giocato non avrebbe mai potuto diventare qualcosa di significativo nella sua vita.
Con l’obiettivo di rafforzare definitivamente questa consapevolezza suo padre gli regalò una Fender Telecaster.
Michele iniziò quasi subito ad usarla per comporre canzoni. Le sue canzoni. Ecco cosa racconta Michele a proposito dela gestazione “Il problema di girarsi”: “Ormai da qualche anno covavo l’idea di realizzare un disco solista. Per una ragione o per l’altra e anche senza ragioni ho sempre rimandato la cosa fino a quando non mi sono deciso e mi sono buttato anima e corpo nel progetto Mezzala. Può sembrar strano ma ho dovuto armarmi di una discreta dose di coraggio. Da molto tempo faccio parte di band come unico autore; da sempre mi sento “protetto” dai miei compari, situazione da un lato molto gradevole che racchiude però controindicazioni. Spesso infatti tendi a perdere lucidità, ti senti “anestetizzato” e fai a meno di prenderti importanti responsabilità quando occorrerebbe mettersi a nudo, esporsi fino in fondo. Sentivo fosse giunto il momento di fare tutto ciò, con una formula nuova, con un nome nuovo, con nuove motivazioni. A prescindere da come verrà recepito sono convinto che “Il problema di girarsi” darà linfa vitale non solo alla mia carriera solista futura ma anche alle prossime esperienze dei Numero6, mai tanto in forma come in questo momento…
“Scrivo canzoni di continuo. Farlo per me è una sorta di terapia interiore. La maggior parte sono cose brutte e inutili. In media su dieci brani soltanto uno si merita di essere approfondito, prodotto, completato. Sono convinto che il talento vada stimolato di continuo. Non mi piace e non mi posso permettere di sedermi sul bordo di una piscina con un mojito in mano aspettando che arrivino devastanti folgorazioni creative chissà da dove. Per me scrivere e suonare è un lavoro, spesso duro e impegnativo. Per arrivare ad avere un disco finito in mano si sputa sangue, contrariamente a quanto pensa la maggior parte della gente comune”. “Mi sono trovato con una ventina di canzoni in mano. Alcune erano state abbozzate per i dischi dei Numero6, altre le ho scritte parallelamente alla mia attività col gruppo, senza pianificare niente di definito. Ho portato in studio il materiale, che ha preso forma anche grazie allo splendido lavoro di Mattia Cominotto, che oltre a registrare e a missare, si è occupato insieme a me della produzione artistica. Volutamente non ho lavorato per dare un’organicità e una coerenza alla scaletta dell’album. Semplicemente sentivo di avere alcune cose da dire e di volerlo fare in un modo il più possibile spontaneo, senza troppi calcoli, senza fronzoli, cercando di scrivere, arrangiare e produrre canzoni spontanee, dirette. Il mio obiettivo principale era di spogliare la mia scrittura da asperità gratuite e autocompiaciute, da strutture cervellotiche, da ermetismi forzati. Tutto ciò senza volermi snaturare ma cercando di far tesoro delle critiche costruttive che ho ricevuto negli ultimi anni in mezzo, per fortuna, a tanti elogi. D’altra parte mettere in piedi un progetto solista con la stessa cifra stilistica dei Numero6 non avrebbe avuto molto senso. Mezzala per me significa rimettersi in gioco davvero”.
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